IL GIUDICE DI PACE

    Nel  procedimento penale pendente (cause riunite 45/03 - 119/03 -
142/03) nei confronti di:
        1)  Pederiva  Gianpietro nato a Miane (Treviso) il 20 gennaio
1960 res. ivi fraz. Combai, via Casale Vacca 10;
        2)  Pedrotti  Elisabetta  nata a Edolo (Brescia) il 18 giugno
1925 res. Miane fraz. Combai, via Casale Vacca 10;
        3)  Buso  Beniamino  nato  a  S. Pietro Barbozza (Treviso) il
22 agosto 1924 res. Miane fraz. Combai, via Casale Vacca 5;
        4)  Buso  Luigi n. Valdobbiadene il 22 luglio 1954 res. Miane
fraz. Combai, via Casale Vacca 5;
    Il  1°  e  2°:  assistiti  e difesi dal difensore di fiducia avv.
Stefano  Arrigo,  domiciliati presso il difensore in Vittorio Veneto,
via  Nannetti  Cond.  Agribella;  il  3° e 4°: assistiti e difesi dal
difensore  di  fiducia  avv.  Aloma  Piazza,  domiciliati  presso  il
difensore in Conegliano, via Gera 10.
    Imputati:
        Pederiva  Gianpietro:  del  reato  di  cui all'art. 581 c.p.,
perche'  spingendolo  ripetutamente  e colpendolo con due schiaffi al
volto  percuoteva  Buso  Beniamino.  In  Miane (Treviso) il 21 maggio
2002. Querela del 14 agosto 2002;
        Pederiva Gianpietro e Pedrotti Elisabetta:
          a)  del  reato  di  cui  all'art. 581  del  c.p.,  perche',
dandogli  uno  schiaffo  in  malattia alcuna nel corpo e nella mente.
(Fatto attribuito a Pedrotti Elisabetta);
          b)  del reato di cui all'art. 594, commi primo e quarto del
c.p.,  perche'  offendeva  l'onore  ed  il  decoro  del  signor  Buso
Beniamino,  pronunciando  la  frase «vergognatevi, ladri, delinquenti
...»  ed  altre  frasi  dello  stesso  tenore  (la  signora  Pedrotti
Elisabetta)  e  pronunciando la frase «ladro, sporco, delinquente» ed
altre  frasi  dello  stesso  tenore  (il signor Pederiva Gianpietro),
commettendo  i fatti in presenza di piu' persone: (fatto attribuito a
Pedrotti Elisabetta e a Pederiva Gianpietro);
          c)  del  reato  di  cui  all'art. 612,  comma  1, del c.p.,
perche'  proferendo  all'indirizzo del signor Buso Beniamino la frase
«...  te  cope,  te  bate»  ed  aizzandogli  contro  il proprio cane,
minacciava  allo stesso un male ingiusto; (/atto attribuito al signor
Pederiva Crianpietro);
          d)  del  reato  di  cui  all'art. 582,  comma  2, del c.p.,
perche',  prendendolo  per il collo e stringendolo fino quasi a farlo
soffocare,  cagionava a Buso Beniamino lesioni personali, dalle quali
derivava  allo  stesso  una malattia nel corpo di durata inferiore ai
venti giorni. (Fatto attribuito al signor Pederiva Gianpietro).
    In   Miane  (Treviso)  in  data  12 dicembre  2002.  Querela  del
18 febbraio 2003;
        Buso Beniamino e Buso Luigi:
          del  reato  di  cui  all'art. 594,  commi  1  e  4, perche'
offendevano  l'onore  ed  il decoro dei signori Pederiva Gianpietro e
Pedrotti  Elisabetta, pronunciando la frase «vigliacchi, delinquenti,
ladri» commettendo il fatto in presenza di piu' persone;
          del  reato  di  cui  all'art. 612,  comma  primo, del c.p.,
perche',  agitando  pericolosamente  una forbice elettrica davanti al
viso  della  signora  Pedrotti  Elisabetta, minacciava alla stessa un
male ingiusto (attribuibile al solo Buso Beniamino).
    In  Miane (Treviso), il 12 dicembre 2002. Querela del 28 febbraio
2003.

                            O s s e r v a

    Pederiva Gian Pietro e' imputato, tra gli altri, dei reato di cui
all'art. 582 c.p. per le lesioni giudicate guaribili in meno di venti
giorni  che  avrebbe  cagionato  al  sig.  Buso Beniamino in Miane il
12 dicembre  2002,  oltre  che dei reati di cui agli artt. 581, 612 e
594 c.p.
    Impregiudicata  ogni  valutazione in ordine al fatto, si' ritiene
che  l'attribuzione  alla  competenza  del  giudice di pace dei reati
indicati   in   epigrafe,   con  la  conseguente  impossibilita'  per
l'imputato  stesso di avvalersi dei riti speciali previsti dal codice
di  procedura  penale, e segnatamente dell'istituto dell'applicazione
della pena ex art. 444 c.p.p., comporti una grave lesione dei diritti
costituzionalmente garantiti in danno dell'imputato Pederiva.
    In   particolare,   il   giudicante   dubita  della  legittimita'
costituzionale,  per  violazione  dell'art. 3 della Costituzione, del
combinato  disposto  degli  artt. 2,  comma 1, lett. g) e 4, comma 1,
lett.  a),  del d.lgs. n. 274/2000 nella parte in cui, attribuendo al
giudice  di  pace  la  competenza a giudicare dei delitti consumati o
tentati  previsti dall'art. 582 c.p. - limitatamente alla fattispecie
di  cui  al  secondo comma, lesioni perseguibili a querela di parte -
non  consente  all'imputato  di chiedere l'applicazione della pena ex
art. 444 c.p.p. e di usufruire in tal modo dei benefici consentiti da
questo  rito,  a  differenza  di  chi  e'  imputato per lesioni lievi
previste  dal  primo  comma  dello  stesso  articolo  o  aggravate ex
art. 583 c.p.
    Ricordiamo che la legge n. 274/2000, attributiva della competenza
penale del giudice di pace, e' intervenuta su piu' fronti: da un lato
ha   escluso   l'applicabilita'   di   alcuni   istituti  propri  dei
procedimenti  davanti  il  tribunale  monocratico, tra i quali quello
dell'applicazione della pena su richiesta (art. 2, comma 1, lett. g);
dall'altro,  l'intervento  legislativo  ha  altresi'  determinato una
selezione  e una scissione, anche all'interno di fattispecie di reato
sussumibili  entro lo stesso nomen iuris, tra quelle da sottoporre al
giudizio  del  tribunale  in composizione monocratica presso il quale
sono  ammesse,  ed  anzi  favorite,  le  definizioni a mezzo dei riti
speciali, e quelle devolute alla cognizione deI giudice di pace.
    E'  evidente  allora  la  distonia  in  questo  modo  creata  nel
trattamento  sanzionatorio,  laddove oggetto di un procedimento e' il
medesimo  reato  di  lesioni  personali  nella sua forma lieve ovvero
lievissima:  esclusa  la  possibilita' per l'imputato di lesioni c.d.
lievissime,  ex art. 582, comma 2, c.p., di usufruire del trattamento
piu'  favorevole  consentito  con il rito disciplinato dagli art. 444
c.p.p.  e  ss.,  garantisce  all'imputato  del reato di lesioni lievi
(nonche' gravi e gravissime) di beneficiarne.
    Questa  previsione  viola  il  principio  di  uguaglianza sancito
dall'art. 3  della  Costituzione,  in  quanto  in  base  al complesso
normativo  ora  vigente  e'  consentito  beneficiare di una riduzione
della  pena  a  chi ha posto in essere, fra due condotte gradatamente
lesive  dell'identico  bene,  quella  connotata da maggiore gravita',
discriminando invece chi ha realizzato il fatto che offende in misura
minore lo stesso valore giuridico.
    Il principio di uguaglianza e il suo diretto corollario principio
di  ragionevolezza della legge, esigono che le disposizioni normative
contenute  in atti aventi valore di legge siano adeguate e congruenti
rispetto   al   fine   perseguito  dal  legislatore  e  comunque  non
discriminatorie.  Anche laddove si scelga di intervenire innovando la
legislazione,  «il canone fondamentale» cui ci si deve attenere e' da
ravvisarsi  nella  ragionevolezza  della  disciplina dettata, data in
particolare   dalla   logicita'   interna   della   normativa,  dalla
razionalita'  delle  deroghe  apportate ai principi informatori della
regolamentazione  di  certi  oggetti, dalla sussistenza o meno, nelle
singole   ipotesi,  di  motivi  atti  a  giustificare  differenze  di
trattamento giuridico tra i soggetti dell'ordinamento.
    Premesse queste considerazioni che hanno una valenza di carattere
generale e sono, si ritiene, gia' di per se' esaustive, e' ancor piu'
evidente  l'irragionevolezza  della  previsione  laddove,  nel  caso,
supponiamo,  sia  stata  proposta  querela  per lesioni lievissime ed
altro  reato commesso con la stessa azione od omissione, e quindi, si
rientri  in  un  ipotesi  di  connessione eterogenea per la quale sia
competente   il  tribunale  monocratico:  il  giudice  del  tribunale
applichera',  ex art. 63 d.Lgs. n. 274/2000, le sanzioni previste dal
titolo  II  dello stesso decreto legislativo, cioe' quelle irrogabili
dal  giudice  di  pace, consentendo pero' all'imputato di definire il
giudizio  mediante  richiesta di applicazione della pena e beneficare
di  uno  «sconto»  di pena, diversamente quindi da quello che sarebbe
potuto  succedere  nel  caso  di giudizio davanti al giudice di pace.
Relativamente  ad  un  caso  che  presenta piu' di un'analogia con il
presente,  la Consulta ha gia' avuto occasione di pronunciarsi (Corte
cost.  19  maggio  1993,  n. 249)  ed  ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 60  della  legge n. 689/1981 nella parte in
cui  stabilisce  che  le  pene  sostitutive non si applicano al reato
previsto  dall'art. 59,  comma  2  e  3, c.p., limitatamente ai fatti
commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni
sul  lavoro,  in  quanto  l'aumento  della competenza pretorile aveva
determinato,   a  norma  dell'art. 54  della  legge  n. 689/1981,  un
corrispondente   ampliamento   dei   casi   in   cui  era  consentita
l'applicazione  delle sanzioni sostitutive previste dall'art. 53, fra
i  quali  era  possibile  annoverare  anche  l'ipotesi  dell'omicidio
colposo  aggravato  dal  fatto  commesso  con  violazione delle norme
antinfortunistiche,  dal  quale  pero'  derivava  una  disparita'  di
trattamento sanzionatorio fra la meno grave fattispecie delle lesioni
personali    colpose    commesse    con    violazione   della   norme
antinfortunistiche escluse dall'ambito di applicazione delle sanzioni
sostitutive,  e  quella  piu'  grave dell'omicidio colposo, per fatti
analoghi.
    Pare  opportuno, inoltre, menzionare che l'insindacabilita' delle
scelte punitive del legislatore non puo' essere sufficiente a fondare
il  differente  trattamento sanzionatorio; infatti, la giurisprudenza
della Corte costituzionale ha confermato la validita' di tale assunto
solo  laddove  si  trattava  - diversamente al caso in questione - di
fartispecie  non  omogenee (vds. recentemente, Corte cost. 15 gennaio
2003, n. 1).
    Nessuna  soluzione in via interpretativa si puo' ricavare al fine
di   ristabilire  un'omogeneita'  nel  trattamento  ed  inoltre  tale
disomogeneita'    non    e'   motivata   da   alcuna   considerazione
giuridicamente valutabile, non rintracciabile nel sistema complessivo
e neppure nell'attento esame della legge 24 novembre 1999, n. 468 che
ha  delegato  il  Governo  all'emanazione  di  norme  in  materia  di
competenza penale del giudice di pace.
    Proprio  partendo  dalla  legge  di delega al Governo, si delinea
invece  un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale, stante
la  violazione  della stessa e quindi, in via indiretta, dell'art. 76
della Costituzione.
    Il  sopra  citato  art. 2  d.lgs.  n. 274/2000  e', ad avviso del
presente  patrocinio,  viziato  da  eccesso  di delega in rapporto al
criterio  direttivo  posto dall'art. 17 della legge 24 novembre 1999,
n. 468,  il  quale  indica  che  «il  procedimento  penale davanti al
giudice  di  pace e' disciplinato tenendo conto delle norme del libro
ottavo  del  codice  di  procedura penale riguardanti il procedimento
davanti  al  tribunale  in  composizione  monocratica, con le massime
semplficazioni   rese   necessarie   dalla  competenza  dello  stesso
giudice.»  L'  art. 17  continua  elencando  i  principi  e i criteri
direttivi  che  il  legislatore  deve  seguire, indicando determinate
estensioni  ed  introducendo  nuovi  istituti,  ma  non  pone mai uno
specifico  divieto di applicabilita' dei riti speciali. Se e' chiaro,
quindi,  che  il  procedimento penale davanti al giudice di pace deve
ispirarsi  a  quello davanti al tribunale in composizione monocratica
ed  il  rinvio  testuale  al  libro ottavo, regolante il procedimento
davanti la suddetta autorita', contempla anche il titolo III relativo
proprio  ai  procedimenti  speciali,  la  legge delega risulta, sotto
questo  aspetto,  essere  stata  completamente ed incomprensibilmente
disattesa.
    Il  legislatore  delegato,  nel  momento in cui ha, in modo tutto
sommato  piuttosto  disinvolto,  trascurato l'intero capo dedicato ai
procedimenti   speciali,  si  e'  illegittimamente  discostato  dalle
direttive  che  era  tenuto  a seguire, scostamento che il fine della
ricerca  della  «massima  semplificazione» non vale a giustificare. A
questo  proposito  non si puo' non sottolineare che, al contrario, il
rito  speciale  dell'applicazione  della  pena su richiesta, e' stato
pensato  e privilegiato dal codice di procedura penale proprio per la
sua  snellezza  e  per  il  fatto  di  comportare  notevoli  economie
processuali.